Il 27 luglio 1993, alle ore 23:14, l’attentato mafioso di via Palestro a Milano scosse la città e causò la morte dei Vigili del Fuoco Carlo La Catena, Sergio Pasotto e Stefano Picerno, dell’agente di Polizia Locale Alessandro Ferrari e di un cittadino del Marocco, Moussafir Driss, senza fissa dimora, che dormiva su una panchina adiacente.
Quest’anno, in occasione del trentennale della strage, oltre alla cerimonia di commemorazione alla presenza del Sindaco Giuseppe Sala e di altre autorità civili e militari, sono stati organizzati diversi eventi, iniziative, un concerto, una mostra e la messa con l’Arcivescovo di Milano monsignor Delpini.
È importante ricordare non solo per onorare le vittime, ma anche per vigilare quotidianamente sul fatto che le mafie sono una minaccia costante e per dirci che «Dopo Tangentopoli e la strage di via Palestro, Milano è ripartita grazie alla legalità. Siamo una città aperta, solidale, ma inflessibile. Non transigiamo verso chi offende la dignità umana, chi non rispetta le leggi, chi corrompe, chi ruba, chi uccide, a Milano non ha spazio», come ha ben detto il sindaco Sala nel suo intervento. Milano ha imparato a sue spese l’importanza di combattere ogni infiltrazione e collusione mafiosa, questa consapevolezza deve accompagnarci anche nell’oggi.
Alla luce di questo pezzo di storia che ha segnato col sangue la nostra città, trovo vergognosa la polemica del ministro Salvini contro don Ciotti, il quale aveva lanciato l’allarme che «il ponte sullo stretto non unirà solo due coste, ma anche due cosche» invitando così a tenere alta la guardia e a vigilare affinché gli investimenti che si faranno restino lontano da infiltrazioni criminali. Minimizzare questo che è un problema reale nel nostro Paese, tanto al sud quanto al nord, non fa bene all’Italia e agli italiani. Ma si sa che la verità è sempre un po’ scomoda
