L’esperienza di ResQ People, progetto milanese che fa soccorso in mare e attività a terra, è dalla parte dell’umanità. La nave, che finora ha effettuato due missioni nel Mediterraneo centrale, ha soccorso e portato in salvo un totale di 225 persone, grazie a un lavoro encomiabile su base volontaria.
Perché «salvare vite umane è sempre una buona idea»: per ResQ fare soccorso significa non solo proteggere la vita, ma anche salvaguardare il diritto e i diritti, l’etica e tutti i valori in cui crediamo.
Ma la realtà ci pone di fronte al fatto che il salvataggio in sé è solo il primo passo per salvare una vita umana, seppure sia un passaggio imprescindibile e purtroppo non scontato, visto che dal 2014 oltre 26mila migranti hanno trovato la morte nel Mediterraneo…
Per salvare davvero la vita a chi fugge da guerre, fame e carestie, serve un piano globale, serve avere una visione ampia delle questioni, che abbia a cuore di rafforzare il sistema di accoglienza e di integrazione, che sia capace di accogliere e dare protezione a chi entra nel nostro Paese, che li aiuti a raggiungere altri paesi dove spesso hanno parenti, che affrondi il tema dell’alfabetizzazione, che curi eventuali traumi sviluppati nel corso di viaggi della speranza spesso segnati da violenze e maltrattamenti…
Ma il Decreto Cutro non considera nulla di tutto ciò.
Il Governo sembra impaurito di fronte a questa emergenza, che nonostante la campagna elettorale roboante non riesce a frenare, anche perché la logica del Regolamento di Dublino lascia soli i Paesi di primo ingresso, scaricando sull’Italia la gestione del “problema”. Perciò si sceglie di interpretare l’immigrazione in termini di sicurezza e ordine pubblico e si mettono in campo esclusivamente misure repressive, sanzionatorie, punitive. Senza alcun progetto su come inserire e integrare, anzi cancellando alcune misure delicate previste finora, il Decreto Cutro:
– limita i permessi di soggiorno per protezione speciale1 a poche fattispecie ed elimina la possibilità di convertirli in permessi di soggiorno nel caso il beneficiario straniero riuscisse a trovare un impiego;
– esclude i richiedenti asilo dai SAI (Sistema di Accoglienza e Integrazione), ad eccezione di quanti hanno fatto ingresso in Italia mediante corridoi umanitari, a seguito di evacuazioni o programmi di reinsediamento, i vulnerabili e i cittadini afghani che sono entrati nel nostro Paese in attuazione di operazioni di evacuazione effettuate dalle autorità italiane;
– taglia i servizi erogati dai centri governativi per richiedenti asilo;
– facilita la creazione di strutture per l’espletamento di operazioni quali il rilevamento fotodattiloscopico e segnaletico e l’informativa sulla procedura;
– semplifica le procedure per la realizzazione di hotspot e centri governativi di prima accoglienza;
– sopprime l’assistenza psicologica, sociale (orientamento legale e al territorio) e i corsi di italiano: servizi erogati nei centri governativi dove andranno i richiedenti asilo sono ridotti al minimo;
– restringe le tutele sanitarie: rimangono solo le patologie particolarmente gravi e solo se «non adeguatamente curabili nel Paese di origine»;
– annulla la possibilità di ricongiungimento familiare.
Con tutto ciò, i richiedenti asilo subiranno gravi violazioni dei diritti e vedranno venire meno servizi primari e fondamentali sia per la possibilità di vedersi riconosciuta una forma di protezione che di integrazione, con una inevitabile conseguenza peggiorativa anche nei confronti della comunità ospitante.
Bene hanno fatto i sindaci Sala (Milano), Gualtieri (Roma), Lepore (Bologna), Nardella (Firenze), Lo Russo (Tornio) e Manfredi (Napoli) a firmare il 16 arile scorso un documento congiunto sul DL Cutro:
Come Sindaci, come Amministratori, come cittadini che quotidianamente si impegnano nei territori per cercare di garantire le migliori risposte alle criticità che le nostre Comunità esplicitano, siamo molto preoccupati per le proposte in discussione relative alle modifiche all’unico sistema di accoglienza migranti effettivamente pubblico, strutturato, non emergenziale che abbiamo in Italia.
La preoccupazione delle città è massima a fronte di emendamenti proposti da alcuni partiti al DL 591 dopo le tante evidenze a cui il nostro ordinamento ha dovuto porre rimedio in questi anni. Non bisogna ragionare in ottica emergenziale ed è secondo noi sbagliato immaginare l’esclusione dei richiedenti asilo dal SAI, precludendo loro qualunque percorso di integrazione e una reale possibilità di inclusione ed emancipazione nelle nostre comunità.
Non condividiamo la cancellazione della protezione speciale, misura presente in quasi tutti i paesi dell’Europa occidentale, mentre circa il 50% dei migranti presenta vulnerabilità ed è in parte significativa costituito da nuclei familiari.
Queste scelte, qualora adottate, non potrebbero che procurare infatti una costante lesione dei diritti individuali e innumerevoli difficoltà che le nostre comunità hanno già dovuto affrontare negli anni scorsi, a fronte di un importante aumento di cittadini stranieri condannati appunto all’invisibilità.
Tutto questo mentre il sistema dei Cas, mai uscito da un assetto emergenziale, è saturo e purtroppo inadeguato ad accogliere già oggi chi proviene dai flussi della rotta mediterranea come da quella balcanica. Insufficiente, sia per numeri sia per le modalità d’accoglienza sia per i servizi di accompagnamento, protezione ed inclusione, assenti. E in questo quadro occorre ripensare anche il sistema di accoglienza dei minori stranieri non accompagnati cui occorre applicare logiche distributive che evitino la concentrazione nelle sole grandi città.
Le nostre città sono infatti impegnate già oggi, spesso con sforzi oltre i propri limiti e frequentemente oltre le proprie funzioni e competenze, a porre rimedio con risorse proprie alle manchevolezze di un sistema nazionale adeguato.
La soppressione della possibilità di costruire un unico sistema di accoglienza pubblico, trasparente e professionale (come il SAI), garantendo percorsi dignitosi e tutelanti anche per le persone richiedenti protezione internazionale, non può comportare la nascita di nuovi grandi centri di accoglienza o detenzione nei nostri territori. La storia degli ultimi vent’anni di accoglienza in Italia dimostra chiaramente come modelli emergenziali, con standard qualitativi minimi e volti al mero “vitto e alloggio” abbiano procurato ferite enormi nelle nostre comunità e non abbiano garantito diritti esigibili alla popolazione rifugiata. E soprattutto abbiano fallito processi di inclusione efficaci e duraturi.
Per queste ragioni proponiamo che:
1. sia rinforzata l’unitarietà del Sistema di Accoglienza italiano, valorizzando l’esperienza virtuosa del SAI, ovvero supportando attivamente la rete dei Comuni che quotidianamente affrontano in prima persona le sfide che i movimenti migratori in ingresso sottopongono ai nostri servizi, ai nostri territori e alle nostre comunità. Con un solo obiettivo: garantire percorsi di effettiva inclusione e tutela compatibili con i territori, evitando grandi centri di accoglienza, senza servizi e senza tutele, per tutti.
2. il Sai rimanga accessibile a richiedenti protezione e rifugiati.
3. i Cas vengano trasformati in hub di prima accoglienza, dedicati alle procedure di identificazione e di screening sanitario per poi procedere a trasferimenti rapidi nel sistema di seconda accoglienza ed inclusione, appunto il SAI.
4. vengano ripristinati i criteri di riparto che il Piano nazionale di accoglienza aveva indicato.
In assenza di azioni positive mirate o, peggio, con azioni sbagliate, le ricadute saranno infatti l’irregolarità diffusa o lunghi percorsi di ricorsi giudiziari che paralizzeranno le vite di molte persone inabilitandole e rendendole facili prede del lavoro nero, che invece non manca.
Infine, come Amministrazioni locali, auspichiamo che ancora una volta l’Italia non si contraddistingua per una regressione relativa al sistema di accoglienza per richiedenti asilo e rifugiati: da troppi anni questo tema necessita di una riforma importante e strutturale, che miri ad un equilibrio nazionale del sistema di accoglienza imprescindibile dal coinvolgimento dei Comuni e dagli obiettivi di inclusione, protezione e con una diffusione omogenea a livello nazionale.
Siamo convinti, insieme ad altre voci autorevoli, che dopo circa vent’anni e anche alla luce di alcuni temi di strutturale cambiamento demografico e sociale non si debba continuare a parlare di emergenza e che proprio in questo momento occorra la lungimiranza di aprire una discussione per scegliere una via legale all’immigrazione e alla regolarizzazione degli immigrati già presenti in Italia, anche attraverso il ricorso allo ius scholae, premessa a comunità solidali, capaci di proporre percorsi di vera emancipazione e autonomia alle persone nel pieno interesse del nostro Paese.
I Sindaci di Roma Roberto Gualtieri, di Milano Beppe Sala, di Napoli Gaetano Manfredi, di Torino Stefano Lo Russo, di Bologna Matteo Lepore, di Firenze Dario Nardella.

NOTA
- Come riportato dal Corriere della Sera, nel 2022 hanno ottenuto la protezione speciale 10.865 migranti. Un dato nettamente superiore rispetto a coloro che hanno ottenuto l’asilo politico (6.161) o la protezione sussidiaria (6.770). Per tutte e tre le tipologie, più della metà delle domande – il 53% – è stata rigettata. Nel biennio 2020-2021 questa tipologia di permesso di soggiorno è stata ottenuta più spesso dagli albanesi (36% sul totale di domande presentate), seguiti da peruviani (24%) e maliani (23%). I dati del 2022 non sono ancora disponibili.