La fuga dal carcere minorile di Milano di sei ragazzi il giorno di Natale ha fatto notizia e ha portato finalmente l’attenzione su una situazione insostenibile1:
– un cantiere aperto da oltre 16 anni con lavori mai terminati;
– un sovraffollamento strutturale che obbliga a vivere in ambienti senza intimità né riservatezza;
– la mancanza di un direttore dedicato all’Istituto, supplito da vicari che ne fanno le veci solo part time;
– condizioni di lavoro difficili per la polizia penitenziaria e gli operatori sociali.
Nel novembre 2022 eravamo stati a fare un sopralluogo con la Sottocommissione Carceri all’Istituto penale minorile “Cesare Beccaria” e avevamo registrato la gravità di questa situazione, a partire dagli spazi angusti e condivisi delle camere, dai locali trasandati dove passare il tempo libero, dalla noia che spesso riempie le giornate, dal desiderio di non rimanere invisibili per la società esterna, espresso da alcuni giovani con cui avevamo parlato.
Tuttavia, avevamo anche incontrato operatori, educatori e insegnanti che quotidianamente lavorano con quei ragazzi e che cercano di far sognare loro un futuro diverso con percorsi di rieducazione, classi di studio, laboratori di lavoro, perché la sicurezza non si basa esclusivamente sull’efficacia e la severità delle misure repressive. Anzi, un vero processo rieducativo dovrebbe insistere e investire sul senso di responsabilità dei singoli individui coinvolti, tanto più se si tratta di giovani: serve preparare per loro reali opportunità, prospettando una vita di lavoro e legalità.
Se le condizioni di vita in carcere non sono ottimali, la parte più difficile è scrollarsi di dosso lo stigma che si riceve una volta varcata quella soglia, ovvero riscattarsi dai giudizi inappellabili con cui sono stati marchiati non tanto dai tribunali, quanto dalla società. E questo è un lavoro che incomincia fuori dal carcere, all’interno della nostra società. Ma non basta. Bisgona anche insistere su politiche di prevenzione e potenziare i servizi territoriali per evitare che le difficoltà o gli errori della vita trascinino in un abisso impossibile da rislaire. Un campanello d’allarme che non possiamo ignorare proviene dai dati sulla disperisione scolastica e sui NEET (Neither in employment or in education or training, ovvero i giovani che non lavorano, non studiano e non sono inseriti in un percorso di formazione): in Lombardia i ragazzi appartenenti a questa categoria tra i 15 e i 29 anni raggiungevano nel 2020 un pericoloso 17,4%.
Noi ci ritorneremo in quel carcere, perché è responsabilità delle istituzioni intervenire. Ma non dimentichiamoci di lavorare anche sul piano culturale perché “non esistono ragazzi cattivi”, come titola un libro di don Claudio Burgio, Cappellano del Beccaria: «Li chiamano ragazzi a rischio, bulli, delinquenti, ragazzi di strada, giovani devianti, mostri: per me sono ragazzi e basta, che, abbandonati a se stessi, sconfinano in comportamenti antisociali e perdono il controllo della loro impulsività fino a diventare pericolosamente violenti; minori che tentano di soffocare dentro il dolore che li accompagna da quando sono nati». Per questi ragazzi la scommessa vera che auspicano di intercettare è l’avventura dell’educazione, unico orizzonte in grado di consegnare loro il faticoso e appassionante mestiere di vivere, impegno e responsabilità.
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1. Il mondo del carcere è di per sé sempre problematico. Nel 2022 ha registrato in Italia il triste record di 84 casi di suicidi, il tasso più alto degli ultimi 10 anni (nel 2021 erano 58, nel 2020 61), oltre a numerosi episodi di autolesionismo ed eventi di aggressione, anche a danni del personale.