Ho salutato con simpatia l’edizione milanese del Pride e mi compiaccio con gli organizzatori perché – da quel che ho potuto vedere indirettamente, anche se non vi ho preso parte di persona – è stata una festa di colori e di allegria per le vie della città.
Mi pare che l’affermazione dell’orgoglio della comunità LGBTQIA+ non abbia portato con sé atteggiamenti provocatori né di denigrazione o dileggio verso altre realtà o comunità, come accaduto altre volte e altrove. Questo dice che Milano è matura per accogliere una manifestazione pacifica di chi chiede visibilità e riconoscibilità e dice che è possibile esprimere liberamente il proprio modo di vivere e di vedere, non in contrapposizione, ma in un contesto di integrazione e di valorizzazione delle diversità. Credo che fosse innanzitutto questo lo scopo della manifestazione.
In questo contesto festoso, però, mi ha lasciata perplessa la dichiarazione del sindaco Beppe Sala circa «il riconoscimento dei figli nati nel nostro Paese da famiglie omogenitoriali».
In Italia, i figli nati “da” (meglio sarebbe dire “all’interno di”) coppie omosessuali sono solo i figli di donne unite con altre donne. I figli di due uomini, infatti, arrivano in Italia tramite la gestazione per altri, che è illegale nel nostro paese (come nella stragrande maggioranza dei paesi al mondo), ma che viene praticata in nazioni che sono meta di “turismo procreativo”, come l’Ucraina, il Canada, la California…
Riconosco certo il valore simbolico e politico di questo atto di disubbidienza civile che va contro la normativa e le sentenze nazionali e che viene giustificato nell’interesse superiore del bambino. Ma non è nelle disponibilità dell’ente locale modificare le regole dell’anagrafe, su cui deve esprimersi il Parlamento.
Anche perché – come ho avuto modo di ribadire più volte e in diverse sedi – l’interesse superiore del bambino è innanzitutto IL DIRITTO ALLA VERITÀ sulle proprie origini. Per tutelare il superiore interesse del minore, sappiamo che esiste la strada dell’adozione in casi particolari per il/la partner del padre biologico.
La decisione di iscrivere i minori all’anagrafe, lungi dal difendere i diritti dei minori, punta piuttosto inequivocabilmente a spianare la strada a una pratica illegale al nostro ordinamento giuridico e considera esclusivamente il punto di vista di un adulto che pretende il diritto alla genitorialità. Ma la genitorialità non è un diritto disponibile. La genitorialità è solo dono e responsabilità.
Infine, mi piace sottolineare la presenza di diversi contesti familiari nella nostra città, che manifestano appartenenze culturali e religiose di vario tipo e che sono impegnati nella quotidianità a far crescere i loro figli. A questi, credo, dobbiamo dimostrare la nostra vicinanza e il sostegno delle istituzioni.