Sono stata onorata di aver introdotto i lavori di presentazione della neonata associazione professionale di infermieri e professionisti della salute “Sguardi di cura”.
In un tempo in cui si sente molto l’esigenza di avere una buona sanità e dove, tuttavia, la discussione sembra esaurirsi nelle “strutture” e nei nuovi luoghi di cura da realizzare coi fondi del PNRR, mi è sembrata molto coraggiosa e innovativa l’idea di questa associazione che punta a prendersi cura di chi si prende cura, in una relazione speculare tra curante e curato, tra specialisti, famiglie e assistiti. Poiché in questo lavoro ci si rende presto conto di essere allo stesso tempo guaritori e feriti, curanti e curati.
Una professione dove il tempo di relazione è già tempo di cura, perché il rispetto della dignità di ogni persona, l’autodeterminazione, la relazione di fiducia, la competenza e la qualità delle cure sono i valori su cui si basa la scelta di accudire.
Vivere la professione di infermiere non è solo una questione di “cose da fare”, ma innanzitutto una questione di sguardi, ovvero di come ci si relaziona con le persone assistite.
Accanto a finalità professionali volte allo sviluppo della disciplina infermieristica e delle professioni della salute in generale, l’associazione “Sguardi di cura” si pone anche finalità di utilità sociale e culturale, puntando alla partecipazione attiva dei cittadini nell’individuazione dei bisogni di salute e nella promozione della salute stessa.
Ciò è molto importante oggigiorno, visto i profondi cambiamenti demografici degli ultimi decenni che impongono nuove policy, un’offerta di servizi diversi e la capacità di innovare i piani di cura.
L’Italia, infatti, è uno dei paesi con l’aspettativa di vita più elevata al mondo, ma al tempo stesso si assiste a un clamoroso calo della fecondità. La combinazione dei due trend ha prodotto un invecchiamento della popolazione negli ultimi trent’anni e uno squilibrio nel rapporto tra anziani e persone in età attiva. Tanto che i demografi prevedono che il rapporto tra la popolazione over 65 e quella in età 15-64 passerà dal 35% del 2019 al 64% del 2050.
Inoltre, se è vero che in Italia gli anziani vivono più a lungo, d’altra parte hanno condizioni peggiori di salute e di autonomia. A questo dato aggiungiamo poi un altro dato preoccupante relativo all’isolamento della popolazione anziana. Dalla rilevazione 2019 realizzata dall’Istat sull’“Invecchiamento attivo e condizione di vita degli anziani in Italia”, emerge che nel nostro paese, su 13,8 milioni di over 65, 4,37 milioni vivono da soli e rappresentano il 7,1% circa della popolazione complessiva. Circa il 15% degli anziani dichiara di non incontrare alcun amico/a nel tempo libero. La solitudine colpisce particolarmente le donne e coloro che posseggono un livello di istruzione più basso (dati Istat).
