Nel giorno in cui avrebbe dovuto avere inizio la Fiera del bebè, contro cui mi ero già pronunciata, abbiamo organizzato a Milano un incontro per riflettere sul tema del delicato rapporto tra “Gravidanza e genitorialità, tra intimità e mercato”, insieme alla collega Alice Arienta, all’europarlamentare Patrizia Toia e alla senatrice Valeria Valente, tutte donne del Partito Democratico, per ribadire la contrarietà alla gestazione per altri e smascherare un’operazione culturale di antropologia distorta. All’incontro sono intervenute anche donne di altri movimenti, come ArciLesbica, La Comune, Libertà delle donne, Se non ora quando e l’attivista spagnola Nuria Coronado Sopeña.
In una società che attraversa l’inverno demografico e in cui il bambino sta diventando un “bene” sempre più raro e prezioso (secondo i dati Istat nel 2050 il rapporto tra lavoratori e pensionati sarà 1:1 con la prospettiva di avere 5 milioni di italiani in meno), c’è il rischio concreto di diffondere un’idea di genitorialità e una percezione del figlio distorte.
Chiariamo subito una premessa: non metto in discussione il desiderio né la capacità genitoriale di una coppia nel perseguire la strada che la porta ad avere un figlio. Il desiderio di un figlio è legittimo e va apprezzata e sostenuta la responsabilità genitoriale, va apprezzato il valore progettuale che ha l’attesa di un figlio, posso essere d’accordo che un figlio nasce nel cuore prima che nel corpo per due persone che vogliono vivere una genitorialità consapevole.
Tuttavia al desiderio espresso dal cuore segue sempre la realtà, che a volte è dura, impietosa e non asseconda i nostri progetti, pur buoni, legittimi e rispettabili che siano. E la realtà ci mette di fronte al fatto che un figlio nasce sempre da un corpo femminile.
Mi ha colpito un’affermazione ascoltata dal Prof. G. Anzani, già magistrato e presidente emerito del Tribunale di Como, in un convegno a cui ho partecipato organizzato recentemente dall’Ambrosianeum: il figlio è fructus ventris dunque la donna a cui il figlio viene tolto è letteralmente s-fruttata nel vero senso della parola. Non illudiamoci che la pratica della surrogazione sia “un gesto di solidarietà” perché avviene sempre dietro ricompensa, che ora si cerca di far passare ipocritamente e surrettiziamente come “copertura delle spese”…
Non possiamo lasciare spazio a mercanti che dividono quel rapporto e considerano un bambino come merce.
Per questo è necessario parlare di questi temi e chiamarli col loro nome. La terminologia è importante perché nel nominare le cose ne definisce anche i contorni di realtà.
C’è chi preferisce usare una sigla ermetica e asettica: GPA, che la gente – pigra – non ha voglia di indagare e che, quando la si sviluppa, mette l’accento su un’azione fatta “per altri”, sottolineando volutamente l’aspetto “altruistico” della “donazione” di un figlio, imponendo un nuovo paradigma antropologico che prevede un figlio su commissione “di altri”.
C’è chi usa il termine tecnico: maternità surrogata, che evidenzia un “prodotto di qualità inferiore che si può usare in luogo di un altro; ciò che sostituisce un’altra cosa, spesso in modo incompleto o imperfetto”. Addirittura, nell’uso giuridico, la surrogazione indica il “subingresso del terzo che ha pagato in luogo del debitore”.
Io preferisco chiamarla utero in affitto perché un figlio nasce da lì. In quest’ottica, la donna diventa una “macchina per la riproduzione”, una sorta di mezzo funzionale al valore di scambio.
Il che è anche fonte di disuguaglianza di genere e di s-fruttamento, tanto che si è parlato di “nuovo colonialismo” per il fatto che le donne coinvolte in questa prassi sono persone molto fragili economicamente e culturalmente, che vivono in un rapporto di sottomissione da parte di familiari o padroni che le dominano sul piano sessuale e/o economico.
Inoltre, questo sistema è molto proficuo perché mette in moto e coinvolge un sistema organizzato di riproduzione e istituti giuridici appositi, che comprendono medici, cliniche, agenzie, avvocati, studi legali, imprese che si occupano di riproduzione umana…
Non possiamo pensare né accettare che questa diventi un’operazione meramente commerciale, come se i figli fossero un prodotto da promuovere ed acquistare sul mercato.
In questi giorni mi hanno accusata di vivere nel Medioevo per l’iniziativa di questo convegno. Ma faccio presente che la gestazione per altri è stata vietata in Italia con la legge n. 40 del 19 febbraio 2004! E nel 2017 la Corte Costituzionale ha sancito che «la maternità surrogata offende la dignità della donna minando nel profondo le relazioni umane».
Non è una questione politica o di schieramento, né c’entra affatto l’omofobia: è legge! Ed è preoccupante che si cerchi di imporre con la prassi un percorso vietato dalla legge o che si voglia impedire squalificandolo e denigrandolo un lavoro di approfondimento e di confronto.
La cosa che mi sorprende è che viviamo in un tempo e in una città attenta in modo quasi ossessivo a valorizzare tutto ciò che è sostenibile e secondo natura: la mobilità, l’ambiente, l’edilizia, la rigenerazione e la resilienza urbana, l’energia, l’ecologia, gli spazi urbani… Quella manipolazione e violenza esercitata dall’uomo contro il paesaggio, l’aria che respiriamo e l’ambiente martoriato, non ci preoccupa invece di perpetrarle sull’uomo!
Non ci sfiora minimamente il fatto che questa auspicata “sostenibilità” possa e debba riguardare anche gli esseri umani e il loro venire al mondo. Quello che manca è una visione antopologica che metta l’uomo, il bambino al centro. Perché? Perché il punto di vista è sempre e solo l’adulto e il suo desiderio o peggio il suo diritto! Ma un figlio non può essere un diritto. Il figlio è sempre e solo dono.
E la politica deve stare sempre dalla parte del «soggetto debole», ovvero il bambino che è chiamato in causa a sua insaputa, per il desiderio/progetto di due persone che decidono programmaticamente di strapparlo dalla madre e di prenderlo con sé a fronte di un patto economico.
Ci serve un’unità di orientamento che procede dalla coscienza di una dignità umana offesa e umiliata e ci impegna tutti insieme, di schieramenti politici differenti, verso l’affermazione dei valori fondanti la nostra civiltà: il rispetto dell’umano.
Sono confortata dal fatto che all’interno del Partito democratico ci sono molte autorevoli voci contrarie all’aberrante pratica della “gestazione per altri”, prese di posizione importanti e qualificate che hanno deluso chi pensava di detenere da solo la verità sull’argomento.
Anche questo è la politica e smascherare la strumentalità di certi dibattiti è doveroso quanto è urgente andare oltre il calcolo politico e dare prova di maturità e umanità.
RASSEGNA STAMPA:
Avvenire, 22.05.2022
Corriere della sera, 20.05.2022
Corriere della sera, 19.05.2022