E chi l’ha detto che gli edifici di pregio sono solo in centro?
Con mia grande scoperta, ho conosciuto una realtà abitativa che potrebbe essere un fiore all’occhiello dell’edilizia cittadina e che farebbe invidia a molti.
C’era una volta, nella periferia est della città, un quartiere operaio di villette con giardino protette dalla Collina dei Ciliegi, costruite dalla società Pirelli nei pressi degli stessi stabilimenti Pirelli di Greco, tra il 1920 e il 1923, negli anni in cui le grandi aziende italiane cominciarono a farsi carico di iniziative paternalistiche, da un alto per ridurre il conflitto sociale e dall’altro per vincolare gli operai al proprio posto di lavoro. Nacque così Borgo Pirelli (Municipio 9), un quartiere giardino costituito da una trentina di villette a due piani, in grado di accogliere da due a quattro famiglie ciascuna. La costruzione venne affidata all’Istituto Case Popolari (ICP), mentre l’assegnazione delle abitazioni spettava all’azienda che scelse i lavoratori più meritevoli. In alcune di esse ancor oggi abitano i discendenti di quegli stessi operai. Vi è anche una palazzina più grande di quattro piani in stile Liberty, sorta per ospitare al pian terreno negozi e servizi per il piccolo quartiere.
Col tramonto della ditta Pirelli, le case vennero cedute a Regione Lombardia che le assegnò in gestione ad Aler come case popolari. Ma in tutti questi anni Aler vi fece manutenzione scarsa o nulla. Fino ad oggi, quando i problemi stanno scoppiando (amianto, infiltrazioni d’acqua, persiane, manutenzione ordinaria e straordinaria) e la Regione non è in grado di affrontarli, perciò è pronta ad aprire a una partnership pubblico-privato per riqualificare totalmente il quartiere.
Personalmente sono molto preoccupata di questa prospettiva per diversi motivi.
Innanzitutto per un motivo storico culturale artistico: le caratteristiche del borgo sono uniche a Milano, tanto che il Borgo è sottoposto al vincolo del Ministero dei Beni Culturali. Se lo paragoniamo al Villaggio Crespi – un simile borgo operaio di Crespi d’Adda, sorto a fine ’800, ora totalmente ristrutturato e diventato patrimonio dell’Unesco – ci rendiamo conto del potenziale sprecato di questo gruppo di edifici vicino a viale Sarca.
In secondo luogo per un motivo sociale: le case erano nate per accogliere famiglie operaie che cercavano una sistemazione in città e che grazie al lavoro e all’accoglienza si sono poi via via integrate nella società milanese. Così oggi accolgono nuove famiglie che affidano alla città le loro speranze per il futuro. Non vanno abbandonate o lasciate sole.
La mia proposta è che si possa innestare una collaborazione virtuosa tra Comune di Milano e Regione per non disperdere un patrimonio pubblico di così grande valore culturale, sociale e storico. Comincerei dunque col proporre al futuro Municipio 9 di organizzare eventi e percorsi turistici per farlo conoscere alla città, al quartiere e alle scuole perché qui è passata la storia del mondo industriale milanese e poi solleciteri il Comune a interloquire con regione per avviare un virtuoso percorso di recupero, a vantaggio di tutti.
