Nonostante la pausa estiva e anche se le saracinesche erano abbassate, c’era chi vegliava e operava attivamente per assicurare un presidio sanitario fondamentale, soprattutto in questo prolungamento della stagione pandemica: sto parlando della “OPERAZIONE VACCINAZIONE IN STRADA”. Ma gli obiettivi che io mi pongo sono ben più ampi.
Di questo intervento hanno parlato diversi articoli di stampa sui maggiori quotidiani nazionali nei primi giorni di agosto, illustrando un progetto che mette assieme, in maniera coordinata e finalizzata, enti del Terzo settore, ETS ed enti della Pubblica Amministrazione, costituendo così di fatto una “rete”. Infatti, grazie a una collaborazione tra Comune di Milano, Regione Lombardia, Ats, Areu, Terzo settore e diverse associazioni, è partita a inizio agosto in maniera sperimentale l’operazione “On the road”, che punta a vaccinare contro il Covid 19 le persone senza dimora che vivono in strada. Un’operazione che continuerà sino a settembre.
Il Comune di Milano – Assessorato alle Politiche sociali e abitative, attraverso il Centro Sammartini, coordina le operazioni coinvolgendo le 19 Unità mobili già attive su strada col compito di motivare, convincere e accompagnare le persone ai tre Ambulatori medici mobili che fungono da centri vaccinali in tre differenti punti della città:
– uno davanti alla Stazione Centrale, gestito dai Medici Volontari Italiani;
– uno di fronte alla Stazione Garibaldi, gestito dal Cisom;
– uno in piazza San Babila angolo corso Europa, coordinato da Fondazione Progetto Arca.
Inoltre, si prevede anche il coinvolgimento di Croce Rossa Italiana. Saranno le stesse associazioni a mettere a disposizione medici e infermieri e quanto necessario.
L’obiettivo dell’iniziativa è arrivare a vaccinare circa 200 nuove persone, che si vanno ad aggiungere a quante sono già state vaccinate nei mesi scorsi, raggiunte all’interno delle strutture collettive di accoglienza, nei Centri diurni, nelle mense e nelle docce pubbliche, nelle micro-comunità e negli alloggi in Housing First e Housing Led.
Tra giugno e luglio, infatti, nella prima fase organizzata di vaccinazione delle persone senza fissa dimora, sono già state somministrate nel complesso circa 2.000 dosi di vaccino per oltre 1.300 persone. Per raggiungere l’obiettivo, l’Amministrazione comunale ha agevolato i contatti tra Regione Lombardia e gli Enti gestori delle strutture di accoglienza, favorito la realizzazione del censimento dei potenziali vaccinandi, diffuso il materiale informativo sul tipo di vaccino utilizzato, i moduli per il consenso informato e la scheda anamnestica in diverse lingue e, soprattutto, ha messo a disposizione dei mediatori culturali.
Ora è partita una nuova fase del programma, rivolta a coloro che non accedono ai servizi e che si spostano con difficoltà dalla strada. Si procede con un numero di dosi giornaliere limitato per la complessità dell’operazione, sia dal punto di vista dell’accompagnamento (comprese le correlate attività di informazione, verifica e controlli) sia dal punto di vista tecnico, dato che la corretta conservazione del vaccino necessita di appositi contenitori termici.
Ma perché limitarsi a questo?
Questo impegno può significare l’inizio di una prassi virtuosa e feconda di ulteriori obiettivi e iniziative. Non ci si dovrebbe limitare al mero, seppur indispensabile, vaccino anti Covid, bensì porsi obiettivi basilari di tutela e salute pubblica. Questo significa semplicemente inserire nella suddetta operazione in strada anche altri interventi medico-sanitari relativi all’identità e copertura sanitaria di chi vive per strada, emancipandolo così dallo status di invisibile. Si tratta di aggregare la protezione vaccinale contingente con una stabile anagrafe sanitaria e un’azione salvavita e tutto ciò che vi è connesso. Potrebbe essere l’inizio di una prassi virtuosa di utilità sociale, anche in vista dell’arrivo dei profughi afgani che verranno ospitati nella nostra città.
Con ciò, si vuole porre in evidenza la questione del superamento della povertà sanitaria e il conseguente incremento della sicurezza psico-fisica delle persone senza dimora, ma anche di chi, fragile, vive ai margini delle periferie umane della città. Per questo puntiamo a integrare l’intervento in corso con i presidi medico-sanitari cosiddetti SALVAVITA, già in uso a Milano dal 2012, grazie a Stefania Zazzi, ideatrice e promotrice dell’azione salvavita, e a Carlo Geri, volontario di Medici Volontari Italiani. Perciò ci siamo mossi insieme (ci vedi nella foto di copertina).
I SALVAVITA sono strumenti che permettono di superare non solo l’anonimato anagrafico, ma soprattutto quello sanitario in occasione di un intervento di soccorso, quando l’incidentato non fosse in grado di collaborare coi soccorritori. È un servizio ad personam e quindi utile per tutti, ma soprattutto per chi non ha qualcuno che si prenda cura di lui/lei, sia solo, senzatetto o anziano. Infatti, come recita il motto di Medici Volontari Italiani «I diritti dei deboli sono diritti forti».
Da tempo alcune persone senza dimora presenti sul territorio della città hanno avuto in consegna la Tessera Salvavita e sperimentato il Braccialetto Salvavita. In particolare, nel Municipio 3 si è conosciuto il “braccialetto salvavita con QR code”. È necessario ancora agire per quanto riguarda la loro conoscenza e divulgazione e questa fase contingente di prevenzione e cura della salute personale e collettiva è l’occasione più appropriata per farlo.
Sono questioni che garantiscono il benessere psicologico di chi vive ai margini e portano alla vera inclusione sociale. Torneremo dunque a parlarne in seguito.
