Ho partecipato alla presentazione del progetto “Abitiamo il futuro” dell’associazione SON – Speranza Oltre Noi: una nuova idea di abitare che guarda al presente di famiglie che hanno quotidianamente a che fare con la disabilità e la fragilità e apre una finestra sul futuro dei loro figli. Un’intuizione geniale di don Virginio Colmegna, che ancora una volta mette al centro della sua missione le periferie umane e sociali e scommette sulla possibilità di avviare percorsi verso l’autonomia. SON è un “cantiere di idee” con l’obiettivo di contagiare la città con una diversa cultura della fragilità.
Nato da una convenzione urbanistica col Comune di Milano, di fatto il progetto sancisce il primo intervento edilizio in città specificamente ispirato alla legge del “Dopo di noi”.
Come ogni figlio atteso, SON vedrà la luce tra nove mesi, ma già oggi è ben visibile il cantiere in cui verranno realizzate:
– unità abitative per ospitare famiglie con figli disabili;
– tre appartamenti per nuclei familiari con figli fragili ricompresi nella legge del 2016 sul “Dopo di noi”;
– un appartamento di sollievo per l’ospitalità di breve durata rivolta a famiglie con figli affetti da gravi disabilità;
– un alloggio per l’autonomia;
– le sedi di SON e Amici Casa della carità;
– una sala polifunzionale.
Da questa esperienza emerge la forza della famiglia capace di produrre welfare e di associarsi con altre realtà per mettere in circolo le proprie energie e condividere le proprie fatiche, da qui la convenzione col Comune di Milano: privato e pubblico lavorano insieme per dare una nuova risposta ai bisogni degli ultimi.
Ma è anche bello che una struttura simile, che mette al centro le periferie umane e sociali, prenda forma in un quartiere geograficamente periferico con l’intento di abitarlo nel senso più vero e completo del termine, ovvero dando un profilo specifico al proprio stabilirsi su un territorio, mettendo radici capaci di intrecciare anche il piano sociale che concorre a formare l’identità dell’individuo, dei luoghi e della società. SON, infatti, unisce la casa al lavoro, lo spazio abitato dagli ospiti allo spazio dell’incontro col quartiere. Una nuova scommessa per tutta la città nell’affrontare la sfida dell’integrazione degli ultimi.
«Anch’io l’anno prossimo, verrò a vivere qui – ha detto don Colmegna – Per me è un ritorno al mondo della disabilità dato che il cardinal Martini, agli inizi degli anni Ottanta, mi aveva permesso di condividere un’esperienza di accoglienza con i disabili a Sesto San Giovanni. SON è un passaggio significativo perché alla domanda sul “Dopo di noi” che ci hanno posto diverse famiglie del territorio abbiamo risposto costituendo un villaggio del “Durante noi”. Qui infatti vorremmo allargare l’ospitalità, costruire legami e proporre tante iniziative culturali e spirituali oltre che diventare convinti promotori di diritti. E siamo lieti che l’istituzione pubblica rappresentata dal Comune di Milano abbia colto il senso della nostra iniziativa».
