Forse a qualcuno era sfuggito che a fine settembre era stata riaperta, dopo una lunga chiusura, la struttura di via Corelli trasformata ora in Cpr, Centro di Permanenza e Rimpatrio degli stranieri irregolari in attesa di documenti.
Fin da subito, con altri consiglieri comunali ho firmato un appello segnalando il rischio legato all’apertura di una sorta di carcere amministrativo, in cui persone che non hanno commesso reati potessero rimanere rinchiuse per mesi e segnalando l’urgenza di mettere in atto alcune tutele per evitare di esasperare gli animi e di seminare paura e disperazione. Quando la struttura ospitava un Centro di Accoglienza Straordinaria (Cas), all’interno c’erano, infatti, una serie di attenzioni che ora sono venute a mancare: dalla presenza dei mediatori culturali che avevano fatto partire una scuola di italiano agli educatori che intrattenevano i ragazzi sostenendoli nei loro progetti e sogni di vita.
Ora nel Cpr vengono raccolte insieme persone con condizioni differenti, alcuni che non hanno diritto a stare in Italia e che verranno giustamente rimpatriate, altre che alla fine dell’iter invece otterranno il permesso di permanenza, il tutto controllato da una sorta di militarizzazione che punta alla restrizione delle libertà individuali, trasformando il centro in una bomba a orologeria che crea inevitabilmente tensioni sia all’interno che all’esterno.
A inizio ottobre, in accordo col Prefetto, alcuni parlamentari Pd si erano impegnati a fare una serie di sopralluoghi all’interno della struttura e a fare entrare associazioni di volontariato per verificare le condizioni a tutela e a favore delle persone lì trattenute.
Poi l’emergenza sanitaria ci ha messo del suo e nel mese di novembre, per due settimane, neppure gli avvocati hanno più potuto mettere piede nella struttura. Ed è emerso che erano stati trattenuti ingiustamente per tre settimane anche otto minori, perché la procedura di accertamento dell’età era stata interrotta dalla quarantena.
In questo contesto, più volte si sono avuti momenti di tensione, proteste, rivolte, disordini e anche tentativi di fuga sedati prontamente dalle forze dell’ordine. Finché nei giorni scorsi c’è stato anche un tentato suicidio.
E finalmente sono intervenute la Camera penale e il Consiglio dell’Ordine appellandosi al Prefetto affinché vengano garantiti i diritti di difesa e siano salvaguardate adeguate condizioni igienico-sanitarie, l’assistenza medica e la possibilità di regolari colloqui.
È un bene che, nella Giornata mondiale dei diritti umani, la Camera abbia finalmente approvato le modifiche ai decreti sicurezza precedentemente proposti da Salvini, ma la storia del Cpr fa riflettere sul fatto che sarebbe necessario gestire con autorevolezza il percorso dei rimpatri e contemporaneamente il necessario controllo sociale e la distinzione tra chi rimandare e chi trattenere. Per fare ciò serve una visione di lungo termine, formazione, educazione, investimenti culturali e sociali adeguati. Infatti, ripiegare su soluzioni che portano a segregazione, esclusione, isolamento non aiuta mai a risolvere i problemi.