Con gli ultimi esami, si chiude definitivamente il capitolo scuola e si pone il tema estate.
Voglio tessere l’elogio degli oratori che hanno deciso di reinventarsi con responsabilità e solidarietà in questo delicato tempo segnato dall’epidemia di Covid-19.
Sono ammirata dalla determinazione con cui molti – pur con mille giustificate paure e necessarie precauzioni – hanno scelto di non sottrarsi all’esperienza dell’oratorio estivo. E non per riempire il tempo libero, bensì come convinta occasione formativa, oltre che come importante sostegno a famiglie e ragazzi che avevano e hanno bisogno di ritrovarsi, riconnettersi e vivere momenti di socialità dopo la lunga quarantena.
Sono ammirata da sacerdoti, educatori, adulti che hanno saputo leggere l’emergenza sanitaria non come una limitazione, bensì come un potenziale laboratorio educativo: se l’oratorio è luogo che forma alla vita, la vita in questa particolarissima estate ci chiede di avere un particolare rispetto per noi stessi, per il corpo nostro e degli altri, per la relazione e l’osservanza delle norme impartite. Accettare questa sfida e trasformarla in “gioco” permette di rileggerla e integrarla nella quotidianità.
Sono ammirata da quelle realtà, ecclesiali e non, che hanno accettato di collaborare con le autorità locali, non come gesto di sottomissione, bensì come segno di una collaborazione corresponsabile per il bene comune: riuscire a stare sul territorio e interagire con le nuove regole che si impongono significa mantenere vivo il dialogo con le altre agenzie educative e non rimanere tagliati fuori dal tempo e dalla storia. Soprattutto dimostra di credere nella bontà e nella bellezza del messaggio e del progetto educativo che si propone.
Sono ammirata da quei percorsi che hanno saputo leggere nella rimodulazione degli spazi e dei numeri l’occasione per mettere in campo attenzioni educative dedicate, percorsi personalizzati, proposte diversificate, dimostrando che l’azione educativa può cambiare ma resta comunque sempre una questione di cuore.