Ha creato problemi la Deliberazione n. XI / 2662 del 16/12/2019 di Regione Lombardia avente come oggetto “Revisione e aggiornamento dei requisiti per l’esercizio degli asili nido”, perché si teme che, definendo gli standard strutturali, organizzativi e qualitativi dei Servizi educativi per l’infanzia, la Regione metta a rischio il sistema degli asili nido della Lombardia, e della stessa città di Milano.
Tuttavia, dopo la mobilitazione sindacale di CGIL, CISL e UIL del 28 gennaio scorso – che ha portato in piazza educatrici e educatori, rappresentanze sindacali di categoria, ma anche qualche mamma e papà con i loro bambini per denunciare quanto sta accadendo: «Se questo provvedimento dovesse essere approvato, da un lato ci sarebbe un ulteriore peggioramento delle condizioni lavorative di educatrici ed educatori, dall’altro il rischio di una pesante contrazione dell’offerta di posti e/o un incentivo per gli enti al ricorso al personale di cooperativa e alle esternalizzazioni. In Lombardia solo un bambino su quattro oggi riesce a frequentare l’asilo nido: non possiamo permetterci nessun passo indietro. La Regione deve semmai lavorare per arrivare il prima possibile a un’offerta del 100%. Frequentare un nido di qualità è un diritto di tutte le bambine e i bambini che devono essere al centro dell’offerta educativa» – e la petizione per la raccolta firme dell’Unione sindacale di base per la difesa dei nidi e la tutela dei bambini, Regione Lombardia ha rinviato al prossimo 26 febbraio la data per approvare la delibera. Nel frattempo è stato presentato un documento puntuale sulle criticità rilevate e si è lavorato per mediare un nuovo testo. Auspico che questo sia il primo passo di un doveroso dialogo per nidi di qualità e per la tutela professionale del personale educativo.
Quali sono le novità che la Giunta leghista vuole introdurre?
1. Cambia il rapporto educatore/bambino: se ora il rapporto è 1:6, la proposta di delibera lo porta a 1:8, rapporto non più parametrato sui bimbi iscritti, bensì sui presenti e non modulato in base all’età, dunque senza tener conto delle loro esigenze così diverse. Il problema si aggrava, inoltre, se dovesse esserci la presenza di bimbi disabili, non contemplati in questo nuovo assetto.
2. Cambia il calendario scolastico, che viene calcolato non più in settimane bensì in giorni (205), contraddicendo anche quanto stabilito dal contratto nazionale che prevede 42 settimane e obbliga al lavoro oltre il termine del calendario scolastico regionale. Questa misura, inoltre, penalizzerebbe e metterebbe fortemente in difficoltà le famiglie, soprattutto quelle lavoratrici, e renderebbe sempre più impossibile la conciliazione dei tempi della vita e del lavoro.
3. Introduce la figura del volontario a fianco degli educatori con funzione di supporto: ma le educatrici e gli educatori – che il 28 gennaio hanno protestato davanti alla sede di Regione Lombardia – rivendicano una giusta e doverosa competenza e preparazione, condizione indispensabile per un servizio educativo corretto, caratteristiche che invece la figura del volontario non garantirebbe.
La legge regionale in materia di politiche per i minori, infatti, «prevede tra gli obiettivi della Regione, nella propria attività di indirizzo politico e di programmazione, quello del sostegno alle famiglie con minori, nell’assolvimento dei compiti educativi e di cura anche promuovendo la conciliazione dei tempi di lavoro con i tempi della famiglia», mentre per “riorganizzare e ottimizzare il servizio” compromette la tutela professionale del personale educativo declassando gli educatori a meri “operatori socio-educativi”, taglia le gambe alle stesse famiglie, ma soprattutto peggiora e mette a rischio il livello qualitativo di un’offerta educativa che, negli anni, è diventata un vanto dell’amministrazione comunale di Milano, evolvendosi da puro servizio socio-assistenziale a un servizio con un’alta qualità pedagogica, in un contesto che considera già come percorso scolastico anche l’esperienza vissuta all’asilo nido.
Non vorrei mai scoprire che questa mossa – minando il perimetro pubblico del servizio – serva, invece, ancora una volta, per favorire le esternalizzazioni, incentivare i nidi privati e squalificare l’offerta pubblica, come è prassi delle politiche della destra.