In settimana ha suscitato molte polemiche l’abbattimento di 35 alberi nel cosiddetto “parco Bassini”, su proprietà e per decisione del Politecnico di Milano, per lasciare il posto a un nuovo edificio del Dipartimento di Chimica, a due passi da casa mia.
La situazione è molto complessa e vede interessi contrapposti che ho cercato di studiare per capire a fondo i vari aspetti del problema e i diversi punti di vista in gioco.
Risale al 2013 l’approvazione del nuovo campus da parte di rappresentanti di docenti e studenti che, dopo aver subito modifiche nel corso del tempo (forse non opportunamente comunicate), entra ora nella fase esecutiva. Si tratta di una progettazione fatta nell’ambito dell’Intesa Stato-Regione, che dunque permette di “semplificare” il procedimento per opere strategiche, così da evitare alcuni passaggi, quali la presenza del Municipio 3 in sede di approvazione del progetto stesso. In realtà l’Area Edilizia pubblica del Comune di Milano, in fase di valutazione del progetto definitivo, aveva segnalato l’opportunità di richiedere il parere dell’Area Verde Urbano, ma essendo il Campus Bassini all’interno del Politecnico, era stata respinta una valutazione ambientale dell’opera. Da qui le prime organizzazioni di protesta nell’autunno scorso da parte di docenti, studenti e cittadini, uniti nel comitato in difesa del verde, che aveva proposto anche una raccolta firme per fermare il nuovo edificio e il consumo di suolo.
A fine novembre abbiamo anche dedicato una Commissione consiliare al tema, dove il Politecnico si era preso l’impegno di istituire un tavolo tecnico di confronto col Comune per studiare il destino di tutti gli alberi di quell’area; impegno mai rispettato.
È pure criticabile la scelta di effettuare l’intervento durante le ferie natalizie, con ateneo e quartiere deserti… Inoltre, giudico sproporzionato l’isolamento della zona col blocco del traffico e lo spiegamento di oltre 50 uomini dai reparti mobili di polizia e carabinieri, in tenuta antisommossa, oltre ad una ventina di agenti digos per portare a termine l’intervento.
I miei interrogativi
Credo che ci siano considerazioni di tipo ambientale, ragioni di coerenza istituzionale, riflessioni legate alla deontologia professionale che avrebbero potuto guidare diversamente questa scelta.
Le considerazioni di tipo ambientale sono note a tutti e non serve sottolineare qui il valore delle infrastrutture verdi quale efficace strumento per la salvaguardia del tessuto urbanoe per ottenere benefici ecologici, economici e sociali. Certo l’ateneo si è impegnato a investire 200.000 euro in compensazioni verdi nel quartiere e a realizzare un nuovo giardino al civico 19 di via Bassini dopo avere bonificato l’area ex nucleare con ben 400 nuove piante a fronte delle 150 circa abbattute, ma è evidente per tutti che le funzioni che svolgono alberi appena piantumati è notevolmente inferiore a quello di alberi anche di 50-60 anni.
Le ragioni di coerenza istituzionale rimandano alle politiche green adottate dal Comune di Milano, all’impegno dell’amministrazione per affrontare seriamente l’emergenza climatica, al fatto che nel 2020 Milano organizzerà le riunioni preparatorie della Cop 26 – compreso uno “Youth event” dedicato ai giovani – in vista della Conferenza mondiale sul clima delle Nazioni Unite. Tutto ciò dovrebbe avere come premessa l’impegno a conservare e salvaguardare il verde esistente e a ridurre il consumo di suolo cercando soluzioni alternative. E se qui non si tratta di una scelta operata direttamente dal Comune stesso, si poteva forse seguire diversamente la vicenda. È triste, invece, dover accettare un legittimo e necessario intervento finalizzato alla ricerca e alla didattica a discapito del verde e dell’ambiente.
L’appello alla deontologia professionale chiama in causa il Politecnico che vanta un’eccellenza formativa in fatto di buone pratiche urbanistiche e ambientali, un’istituzione di formazione e ricerca sulle questioni paesaggistiche, che avrebbe potuto e dovuto sfruttare questa occasione per operare sul campo scelte e indirizzi insegnati e ricercati con convinzione e successo formativo, per dimostrare concretamente alla città che si può ripensare il tessuto urbano nel rispetto di alcuni principi.
Governare è assumersi responsabilità
Tuttavia, dopo anni di allarmismo sul futuro di Città Studi e sul suo paventato svuotamento, è un po’ curiosa tanta ostilità per un progetto a lungo termine che si impegna a rilanciare l’Università, a creare nuovi servizi di alto livello e laboratori sempre più moderni, ad attrarre nuovi studenti, promettendo comunque maggiori aree a verde e la fruizione di nuovi spazi, in sintesi a rilanciare la funzione pubblica del Politecnico che restituisce servizi alla comunità: questo è solo un bene per le generazioni future, per Città Studi e per tutta Milano. Decisione che, purtroppo, non poteva essere rimandata dopo il trasferimento della Statale, perché il bisogno è impellente e perché spostarsi in altri edifici più lontano non sarebbe funzionale all’attività didattica.
D’altronde il Politecnico è indubbiamente una grande risorsa per la città e tutto il quartiere, ma c’è anche un’altra faccia della medaglia: il prestigio universitario ottenuto e riconosciuto a livello internazionale lo sprona a investire continuamente per mantenere la leadership ed essere sempre più competitivo; d’altro lato proprio questa autorevolezza indiscussa, ottenuta grazie ai risultati conseguiti, lo porta ad avanzare – e se necessario anche ad imporre – progetti ambiziosi con una facilità e una disinvoltura che altri enti non avrebbero.
Detto ciò, le uniche azioni che possiamo fare a questo punto, di fronte a un progetto entrato nella fase esecutiva, sono chiedere la compensazione delle piante tagliate con un numero maggiore di nuovi alberi piantumati e il salvataggio degli alberi più preziosi.
In conclusione, credo che sia importante tenere insieme tutte queste considerazioni e non prendere le difese solo di uno degli aspetti in gioco. Certo amministrare è assumersi la responsabilità di compiere delle scelte e tali scelte si fanno tenendo insieme la complessità della realtà e cercando il massimo bene comune attraverso una costante mediazione politica, che forse in questa vicenda ha perso qualche passaggio.