A chiusura dei lavori di quest’anno, porto con soddisfazione all’attenzione l’esito del voto contrario alla “gestazione per altri” (nota anche come “utero in affitto” o “maternità surrogata”) da parte del Consiglio regionale dell’Emilia Romagna, dopo un dibattito lunghissimo, durato ben 39 ore, conclusosi il 27 luglio scorso.
Da parte mia, è una delle battaglie che ho fatto più duramente e convintamente nel corso di quest’anno, esponendomi più volte e constatando spesso quanto il tema fosse divisivo, anche per il Partito Democratico e nella stessa maggioranza milanese. Tuttavia, in Emilia Romagna, nell’ambito della legge anti discriminazioni, proprio grazie al Partito Democratico si è riusciti a far approvare il testo che afferma: «La Regione non concede contributi ad associazioni che nello svolgimento delle proprie attività realizzano, organizzano o pubblicizzano la surrogazione di maternità». È un punto d’arrivo importante, frutto di un lavoro culturale e politico di riflessione e approfondimento sull’argomento; senza contare che gli stessi movimenti lgbt e le stesse femministe sono divisi su questa pratica.
Se ne parla da anni, ma è soprattutto con la Carta di Parigi per l’abolizione universale della maternità surrogata (2.2.2016) che la battaglia internazionale contro la gestazione per altri raggiunge il suo culmine. Infatti la Carta chiede l’abolizione della pratica della maternità surrogata a livello internazionale e denuncia «l’utilizzo degli esseri umani il cui valore intrinseco e la cui dignità sono cancellati a favore del valore d’uso o del valore di scambio».
Al primo posto per me viene innanzitutto la difesa dei diritti del bambino, considerato in questo processo un prodotto con valore di scambio da consegnare a precisi “committenti”, tanto da annullare ogni distinzione fra persona e oggetto.
In secondo luogo, tale pratica è alienante per la donna, considerata una mera “macchina per la riproduzione”, una sorta di mezzo funzionale al valore di scambio, senza considerare ciò che tutto questo processo comporta per la salute, la vita, la stabilità psichica e affettiva della persona. Il che è anche fonte di disuguaglianza di genere e di sfruttamento, tanto che si è parlato di “nuovo colonialismo” per il fatto che le donne coinvolte nella gpa sono persone molto fragili economicamente e culturalmente, che vivono in un rapporto di sottomissione da parte di familiari o padroni che le dominano sul piano sessuale e/o economico.
In terzo luogo, l’affermazione di questo sistema è pericolosa poiché produce imprese che si occupano di riproduzione umana, mettendo in moto un sistema organizzato di riproduzione e istituti giuridici appositi, che comprendono medici, cliniche, agenzie, avvocati…
Per tutti questi motivi è una buonissima notizia che, proprio sul terreno dei diritti, nell’affermare il diritto alla piena autodeterminazione sia stato posto un freno alla mercificazione del corpo delle donne e dei bambini. Ora dovremo vigilare affinché si arrivi alla piena abolizione di questa pratica, innanzitutto in Europa e poi a livello universale. Ma per farlo, dovremo continuare a parlarne, a fare azione di informazione seria e a portare l’attenzione al di fuori dell’ambito politico, affinché tutta la società civile prenda posizione su un tema così delicato, facendone emergere le contraddizioni e i conflitti, altrimenti rischia di rimanere terreno di battaglia solo delle élite che hanno interesse a sostenere la pratica dell’utero in affitto. Io sono fiduciosa, perché molti esponenti del Partito Democratico si sono uniti in questa lotta contro la gpa proprio in nome dei più profondi valori della sinistra europea.