Si dice spesso “aiutiamoli a casa loro” per sostenere una politica che lavori per una stabilità e un progresso economico nei paesi da cui provengono i migranti, disincentivando così le tante pericolose partenze dai paesi più poveri e contribuire a controllare l’immigrazione. Ma forse non tutti sanno che il Comune di Milano promuove e sostiene azioni di cooperazione internazionale finalizate allo sviluppo, basate su specifiche “Linee d’indirizzo per le attività di cooperazione internazionale”, approvate dalla Giunta della sindaca Moratti nel luglio 2013 e ulteriormente integrate e intensificate negli anni successivi: oggi sono attivi ben 18 diversi progetti in altrettanti Paesi in via di sviluppo.
Gli assi tematici interessati da queste azioni di cooperazione sono: sicurezza alimentare, cosviluppo e sviluppo urbano sostenibile. A queste aree si aggiungono due focus trasversali: la promozione della democrazia e dei diritti e l’educazione e sensibilizzazione della cittadinanza sulla solidarietà internazionale, sulla cooperazione e sullo sviluppo reciproco.
È possibile visionare tutti i progetti di cooperazione internazionale attualmente attivi sul sito del Comune di Milano.
Tuttavia questi progetti – che non conoscevo – mi hanno fatto sollevare lo sguardo verso le politiche nazionali di cooperazione allo sviluppo e mi è sorta qualche riflessione rispetto all’urgenza di una politica lungimirante, capace di guardare all’Africa valorizzando le nascenti industrie hi-tech, i primi hub innovativi in città importanti del Kenya, Sud Africa, Nigeria, Egitto e Marocco e dove l’8 luglio scorso 54 nazioni africane su 55 hanno firmato un accordo di libero scambio per un mercato unico libero da dazi, tariffe e barriere doganali.
Come contribuisce il Governo italiano allo sviluppo di questi Paesi? Qual è la politica per “aiutarli a casa loro”? Come si investono in ambito di cooperazione i quasi 1,7 miliardi di euro per l’accoglienza dei migranti?Come orgogliosamente sbandierato dal Ministro dell’Interno, il numero degli sbarchi sulle coste italiane è drasticamente calato. E allora è doveroso domandarsi se gli stanziamenti del Governo per l’accoglienza dei migranti siano rimasti tali e, visto che non c’è stata riduzione alcuna, chiediamoci come questi siano stati veramente utilizzati. A fronte di queste considerazioni si aprono vari quesiti, come scrive Francesco Petrelli, Responsabile relazioni istituzionali di Oxfam Italia, su “Il Manifesto”.
In particolare riporto le seguenti considerazioni:
«Due dati emergono su tutti. Il vero e proprio crollo dell’aps (aiuto pubblico allo sviluppo) italiano nel 2018 che si ferma ad un misero 0,24% dallo 0,30% del 2017, calcolato in relazione al reddito nazionale lordo, con una riduzione del 21.3%. E la distanza abissale tra le previsioni di stanziamento per 5,02 miliardi di euro (nella legge di bilancio 2018) e i 4,2 miliardi che risultano. Il risultato è che mancano all’appello 860 milioni di euro.
Dati che delineano un quadro molto preoccupante, che sta riportando indietro la cooperazione italiana di anni e spinge a rivedere al ribasso le stime per il prossimo futuro. Un calo inaspettato già nel 2018, rispetto a quello che noi, come molti osservatori avevamo previsto sul 2019, dopo l’approvazione dell’ultimo Documento di economia e finanza.
Il report inoltre pone un’importante questione rispetto all’effettivo utilizzo dei fondi destinati al Ministero dell’interno nel 2018 per l’accoglienza di richiedenti asilo e migranti (compreso nel calcolo dell’aps).
Nonostante, com’è noto, il numero degli sbarchi di migranti sulle coste italiane sia drasticamente calato, tornando l’anno scorso sotto i livelli del 2012, gli stanziamenti al Ministero degli Interni per l’accoglienza nel 2018 sono rimasti alti. Senza che per questo i fondi fossero destinati, ad esempio, ad aiuti alla cooperazione allo sviluppo nei Paesi poveri e di origine dei flussi. Né tantomeno ad un miglioramento dell’accoglienza sul nostro territorio, visti i recenti tagli al sistema di accoglienza, che stanno aumentando «l’insicurezza» per migliaia di richiedenti asilo vulnerabili, fuggiti nel nostro Paese, per trovare scampo a guerre, persecuzioni e miseria, oltre a costare migliaia di posti di lavoro, soprattutto per i tanti giovani impegnati nell’accoglienza.
Di fronte a questi numeri, sono quindi almeno due le domande che è doveroso porre all’attuale Governo e sul quale i cittadini dovrebbero essere informati, trattandosi di fondi pubblici.
In primo luogo, dove sono stati allocati i fondi destinati al Ministero dell’Interno per l’accoglienza dei migranti nel 2018 e perché non sono stati usati per altri settori della cooperazione, ossia per lo scopo per il quale erano stati stanziati? In secondo luogo, perché nella legge di bilancio 2019, alla luce della drastica riduzione del numero di migranti e richiedenti asilo che approdano nel nostro Paese, si è comunque deciso di destinare al Ministero dell’Interno, in ambito di cooperazione, quasi 1,7 miliardi di euro per l’accoglienza dei migranti?
La riduzione degli arrivi di richiedenti asilo in Italia poteva paradossalmente rappresentare un’occasione per aumentare i fondi destinati bilateralmente ai Paesi più poveri, come più volte dichiarato dal Governo. Tutto ciò però non è accaduto. Al contrario nel 2018 il nostro Paese ha ridotto del 22% i fondi destinati ai Paesi meno sviluppati (Lcds) rispetto al 2017 e di ben 35,5% gli aiuti ai paesi dell’Africa subsahariana.
Quella che ci troviamo di fronte è quindi una contraddizione lampante e assieme tragica. Mentre da un lato si decide di chiudere le frontiere ai migranti, si riducono i fondi destinati a rompere il circolo vizioso della povertà e creare sviluppo nei Paesi più poveri, da cui molto spesso scappano i tanti disperati che continueranno a tentare di arrivare da noi, anche nei prossimi anni e decenni.
Da qui la nostra richiesta al Governo affinché elabori un piano per mantenere gli impegni presi, in linea con gli obiettivi di sostenibilità dell’Agenda 2030, definita dalle Nazioni Unite, ossia ritornare a stanziare lo 0.30% in aiuto allo sviluppo, entro il 2020. Un impegno riconfermato, ancora a metà maggio, dal vice-premier Luigi di Maio ad Exco (l’Expo della cooperazione allo sviluppo). Ma che al momento, seguendo l’attuale trend di precipitosa discesa, sembra assai difficile da raggiungere».