10 febbraio 2019
La musica italiana va oltre le periferie: ha stupito anche i milanesi la vittoria di Alessandro Mahmood, madre italiana e padre egiziano, nato e cresciuto nel quartiere del Gratosoglio, tra le Torri bianche dell’estrema periferia sud di Milano.
Io non ho seguito il festival e non voglio parlare della canzone in quanto tale, ma quando ho appreso la notizia ho pensato che anche la musica e un festival molto criticato o molto amato come San Remo possono contribuire ad accendere la periferia e a metterla per una volta orgogliosamente al centro della città.
Ma la stessa musica può diventare anche occasione per fare una battaglia ideologica se non politica, con chi guardando questo ragazzo italo-egiziano vede con disprezzo le sue mezze origini egiziane e gli attribuisce la responsabilità di un’inarrestabile invasione musulmana o chi dall’altra parte, esaltando il processo di integarzione, sottolinea felicemente la sua italianità. Come se non fossimo tutti un po’ meticci e, proprio per questo, speciali e unici al mondo!
In questa vittoria io vedo una bella inaspettata sorpresa e anche una promessa che riempie di orgoglio una città e un Paese in cui si stanno facendo strada sotto i nostri occhi le nuove generazioni. E sarebbe ora di prenderne coraggiosamente atto e di riconoscere loro lo spazio che si meritano, senza paura, anzi con riconoscenza.
Tra l’altro Mahmood non è l’unico ragazzo di periferia che riesce a entrare nella storia della canzone italiana: anche Ghali, il rapper di origini tunisine originario del quartiere di Baggio, e Malika Ayane, l’italo-marocchina nata in viale Ungheria e poi arrivata in via Padova e in piazzale Abbiategrasso, sono “ragazzi che ce l’hanno fatta”, pur partendo da un “via” dove tutto poteva sembrare più difficile e che, non dimenticando le loro origini, hanno avuto successo grazie alla loro bravura e autenticità. Perché non riconoscerglielo semplicemente?