5 novembre 2018
Intervengo per rivendicare il diritto/dovere da parte del Consiglio comunale di Milano di dibattere gli aspetti etici che sottendono la questione della registrazione di due papà della bambina nata all’estero grazie alla GPA, la “gravidanza per altri”, cioè la «maternità surrogata» o «utero in affitto».
La questione non riguarda semplicemente il fatto di «dare seguito a un ordine del Tribunale».
Ma come giustamente ha riconosciuto lo stesso Sindaco, l’argomento va affrontato anche dal punto di vista etico.
Ed è giusto che il Primo cittadino si confronti innanzitutto con i suoi consiglieri – di maggioranza e di opposizione – perché siamo noi gli eletti a rappresentare Milano in questo Consiglio comunale, che in quanto tale è organo di indirizzo e controllo politico dell’azione amministrativa.
Non basta, dunque, che il Sindaco si confronti con la sola Giunta, che rappresenta un organo collegiale ristretto ed è soltanto in parte espressione diretta della scelta dei milanesi.
Non sarà un confronto facile perché le sensibilità sono tante e giustamente diverse, come i voti dei cittadini che ci hanno portato a rappresentarli in questo consesso.
Tuttavia ritengo necessario e anche urgente prendere parola al riguardo, per non lasciare alla sola Magistratura una scelta che deve coinvolgere anche la politica, che in quanto tale si fa portavoce e dà attuazione ai DIRITTI dei cittadini.
Ma di quali diritti parliamo quando appoggiamo la GPA?
È il diritto di una madre a commercializzare il proprio corpo, seppure – si sostiene – in base alle regole della autodeterminazione? Un diritto che non prevede né accetta un eventuale ripensamento, nel corso della gravidanza, a tenere con sé il bambino nel caso in cui nascesse in lei un attaccamento al figlio che sta per mettere al mondo?
È il diritto delle coppie ad acquistare un figlio come fosse un prodotto, rivolgendosi necessariamente al mercato estero, poiché in Italia la maternità surrogata è vietata dalla legge 40 del 2004? “Mercato”, che come dice la stessa parola, considera la genitorialità un fatto commerciale, violentando la natura per il raggiungimento di un proprio interesse, per soddisfare un proprio bisogno… Mercato che, nel frattempo, ha già avuto i suoi ripensamenti quando si è trovato di fronte a bambini imperfetti, non rispondenti all’ordinazione e alle aspettative del committente…
È il diritto di un bambino ad essere programmaticamente strappato dalla madre ed esser venduto per veder cancellato – preventivamente, definitivamente e legalmente – il suo passato e le sue origini?
Il mio punto di vista è che la genitorialità non è un diritto e che non è lecito che si imponga con prepotenza, aggrappandosi a un mercato che il nostro Paese non riconosce e non accetta, per poi reclamare la registrazione del figlio «a tutela e vantaggio del minore».
La vera battaglia politica a difesa dei diritti civili e umani ci dovrebbe portare a difendere e a diffondere l’affido e l’adozione.
Decine di organizzazioni internazionali di 17 Paesi, molte di matrice femminista, hanno aderito al movimento spagnolo Recav (Red Estatal contra el Alquiler de Vientres: Rete statale contro l’affitto di uteri) che chiede all’Onu e ai governi di tutto il mondo di proibire la maternità «a pagamento».
Su questi temi e su questa battaglie di civiltà chiedo un confronto aperto coi colleghi del Consiglio comunale.