Mi ha fatto riflettere la vicenda di Carla Padovani, capogruppo del PD nel Consiglio comunale di Verona, che settimana scorsa ha votato una mozione per sostenere “Iniziative per prevenzione dell’aborto e il sostegno della maternità” presentata dall’opposizione e duramente attaccata anche da alcuni vertici del Partito Democratico. Mi ha fatto riflettere per due motivi.
Il primo motivo perché la Legge 194 oggi non è pienamente applicata laddove all’art. 2 lo Stato si impegna «contribuendo a far superare le cause che potrebbero indurre la donna all’interruzione della gravidanza»; impegno che questa mozione rilancia impegnando il Comune a finanziare progetti locali a sostegno di donne che si trovano in difficoltà economica e che liberamente scelgono di non abortire: sapere che si può partorire nell’anonimato, senza incorrere in reati e nel rispetto della privacy può fare la differenza nella scelta tra abortire o non abortire.
L’interruzione di gravidanza è una questione delicata, spesso dolorosa. Tuttavia è entrata nel nostro ordinamento e fortunatamente è uscita dalla clandestinità, grazie alle lotte delle donne e all’approvazione della Legge 194, che ha resistito a ben due referendum abrogativi.
La mozione del Consiglio comunale di Verona, dunque, non si è espressa contro l’aborto, ma a favore della prevenzione e della possibilità di assistenza medica: ha chiesto un voto per la vita, non contro l’autodeterminazione delle donne, a dimostrazione che la 194 è compatibile con azioni che incentivano il sostegno alla vita.
Una cosa simile era già successa anche presso il Consiglio comunale di Milano a fine anni ’90, dove era stato approvato un emendamento al bilancio proposto dal centrosinistra (ai tempi all’opposizione) attraverso l’allora consigliere comunale Alberto Mattioli, che chiedeva un aiuto finanziario per donne incinta che si sentivano costrette ad abortire a causa di difficoltà economiche. L’emendamento venne approvato anche a Milano e creò divisioni e polemiche in entrambi gli schieramenti, ma poi venne trasformato in una delibera e attuato come atto amministrativo.
Detto questo, valuto comunque inappropriato lo strumento della mozione per fare una simile battaglia, dato che la mozione in quanto tale non ha alcuna competenza né legislativa né amministrativa in ordine alla 194. Dunque potremmo concludere che si sia fatta una battaglia ideologica senza produrre alcun risultato, se non furbescamente azionare un terremoto politico in cui la collega di Verona è cascata.
Il secondo motivo di riflessione è che auspico che il PD – che in questa fase sta ripensando e rilanciando sé stesso – possa essere un partito che sa tenere insieme culture e sensibilità diverse, soprattutto sulle questioni di coscienza che sono la ricchezza del pensiero democratico e non il suo limite. Altrimenti sarà destinato a isolarsi sempre di più e a perdere ulteriormente pezzi di elettorato e di rappresentanza politica.