7 aprile 2017
Via Padova per alcuni è il quartiere simbolo della Milano multietnica, per altri del fallimento dell’inclusione e dell’accoglienza di etnie diverse.
Andando oltre gli stereotipi e i luoghi comuni che dipingono via Padova come il pericoloso quartiere irreversibilmente trasformatosi in ghetto, ho partecipato a un incontro in cui si è parlato di casa, della qualità dell’abitare e delle sue conseguenze sul vivere che, in questa lunga via che attraversa il Municipio 2 come in molte altre periferie di Milano, resta un problema vero.
Un confronto difficile con agenti immobiliari, amministratori di condominio, cittadini residenti, operatori sociali che agiscono nel quartiere e assessori comunali.
Sono emersi problemi grandi e preoccupanti: problemi tecnici degli edifici talvolta pericolanti, problemi economici con proprietari spesso morosi, problemi giuridici con le istituzioni che non riescono ad essere incisive…
Qui la casa è un bene privato, non esistono infatti case popolari per tutti i 4 chilometri e mezzo della via. La casa in periferia è innanzitutto una necessità, che talvolta diventa prepotentemente un diritto e allora apre all’odioso abusivismo, al preoccupante sovraffollamento, al triste mercato del sonno, al continuo via vai di inquilini invisibili che non mettono radici… È emerso che in alcuni condomini il 95% degli inquilini è sconosciuto: sapere chi è il mio vicino, riduce la paura e genera sicurezza perché crea socialità.
Dunque non è solo un tema di edilizia e di mura, si tratta innanzitutto di una comunità povera di relazioni: la casa è spazio di relazioni e di identità innanzitutto al suo interno, relazioni che poi si riversano all’esterno e danno vita alla socialità.
Eppure via Padova non è solo questo: è un quartiere vivo, è una delle realtà commerciali più attive in città, è abitata da famiglie giovani, vi sono operatori sociali che agiscono nel quartiere. Vi si riconoscono forti potenzialità e ricchezza culturale, nonché architettonica.
Insomma, via Padova ha tutte le carte in regola per proporsi come laboratorio delle periferie metropolitane, dove le contraddizioni sono molte, ma le potenzialità di più e le scommesse altrettanto alte: a partire dal tema dell’abitare, la casa può trasformarsi in elemento di emancipazione dallo sfruttamento lavorativo, può diventare condizione per creare sicurezza, sia reale che percepita, può dar vita a nuove forme di aggregazione e di buon vicinato.
Aver avviato questo dibattito, supportato da interviste, ricerche e confronto sul campo, può essere un buon punto di partenza per pensare ad azioni coordinate tra chi abita il territorio e chi è chiamato a governare la città: il primo impegno che è emerso riguarda la stesura di una mappa con progetti concreti per sperimentare nuove soluzioni che coinvolgano insieme cittadini e amministrazione, in particolare i settori casa, sicurezza e sociale.