Ho portato in Consiglio Comunale le mie riflessioni a proposito degli eventi che hanno visto protagonista lo stabile di via Fortezza 27 (Municipio 2), occupato dallo scorso dicembre in modo illegale da un gruppo di persone di diversa nazionalità, provenienti principalmente dall’Africa, dal Marocco, dal Libano.
L’occupazione era iniziata il 21 dicembre ed è terminata giovedì 2 febbraio, dopo 42 giorni, con l’intervento delle Forze dell’ordine, Polizia di Stato, Carabinieri, Polizia locale e Vigili del fuoco, intervento deciso al Tavolo per l’ordine della sicurezza pubblica della Prefettura nelle scorse settimane a cui ha preso parte anche il nostro Assessore alla Sicurezza, Carmela Rozza, che giustamente ha rivendicato sui giornali che “Questi interventi sono frutto di programmazione e giudizio, non di urla e proclami” e soprattutto che “In questi anni Milano ha dato prova di grande generosità e accoglienza e continua a darla ogni giorno. Proprio per questo suo impegno deve essere chiaro che occupando non si acquistano diritti, ma si perdono”.
Proprio su questo aspetto vorrei porre l’accento del mio intervento, sul delicato confine tra legalità e giustizia.
La legalità è combinare il rispetto delle norme imposte con la pratica quotidiana delle regole condivise, la legalità è dunque fondamentale per la vita sociale e per promuovere la costruzione del cosiddetto “bene comune”.
In questa occasione mi sento di dire che giustamente abbiamo raggiunto l’obiettivo della legalità, sottolineo dunque la positività dell’intervento di sgombero (così come era già stato richiesto dal Partito Democratico in Municipio 2 con una mozione del 24 gennaio), ma mi domando se abbiamo anche reso giustizia alle persone che qui cercavano un riparo e delle relazioni?
La legalità si coltiva costruendo una società viva, accogliente, eterogenea, formata da persone che sappiano vedere negli altri non un potenziale nemico, ma un possibile amico.
E nel quartiere di Villa San Giovanni qualcuno – dapprima isolato e poi aggregando sempre più persone – aveva incominciato a entrare in rapporto con gli occupanti, ad ascoltare le loro storie, vincendo la diffidenza del quartiere e addirittura organizzando una cena di condivisione che si è poi trasformata spontaneamente in festa.
Da questo incontro era nato un “noi” che ha scoperto il volto della reciprocità nella diversità e su questo terreno si era avviato un incontro, una conoscenza, un’amicizia, addirittura alcuni progetti di integrazione con l’idea di presentarsi al Quartiere, di apprendere un mestiere, di seguire corsi di lingua italiana accedendo alla Casa delle Associazioni e del Volontariato del Municipio 2 con la Scuola Binari.
E tutto ciò è stato bruscamente interrotto dallo sgombero del 2 febbraio, arrivato senza alcuna proposta alternativa e soprattutto costruttiva. Un’esperienza mortificante per chi vi ha assistito, addirittura per alcuni funzionari delle Forze dell’Ordine; non per chi è rimasto spettatore in tutta la vicenda e ha applaudito a questi poveri diavoli, che se ne uscivano sotto la pioggia coi loro miseri fardelli.
Dall’Amministrazione, che in questi anni ha messo in pista molte nobili politiche dell’accoglienza, auspico una politica che sappia unire la profondità di contenuti quali l’accoglienza, l’integrazione e la legalità con la velocità di scelte incidenti quali la risposta a una casa.
In un quartiere che ha subito molte speculazioni edilizie e che ora si trova a dover convivere con intere palazzine, capannoni, aziende abbandonate, si pone il problema serio di come responsabilizzare, incentivare, costringere i privati a farsi carico degli edifici inutilizzati.
Problema molto grave e scottante in tante delle nostre periferie più estreme!
“Luoghi sospesi” li ha definiti l’assessore Rabaiotti, luoghi che urge rimettere in vita (e non solo in sicurezza!), potenziali punti di partenza per far ripartire la periferia, dove sperimentare – anche con progetti che coinvolgano il Quartiere circostante – una solidarietà inclusiva, come del resto stava già spontaneamente prendendo vita nel Quartiere di Villa San Giovanni, soprattutto grazie all’attivazione di associazioni quali Na-Ga, Rete Solidale, Ci Siamo e la presenza di mediatori culturali, educatori e volontari del Guardino delle Idee che già hanno aperto uno Sportello di Ascolto e prossimità presso la Parrocchia del Quartiere e nella CdAeV per il Municipio due.
Ecco: riuscire a dare la precedenza a politiche capaci di dialogare con il territorio può creare un forte radicamento e dare risposte a cittadini che spesso si sentono soli e abbandonati, soprattutto quando uno abita in periferia…